Il politico, in questo momento, sta per essere assorbito nel militare. C’è un triplice movimento: il politico tradizionale è morto nel sociale, e il sociale sta morendo nel militare, il militare in quanto istanza, è armato. Su questa situazione il lavoro dell’intellettuale deve essere quello di denuncia della logica militare. Per me la logica militare non è un’idea neutra e tecnica è la base stessa della borghesia. Per me la rivoluzione borghese è essenzialmente una rivoluzione militar-borghese. La borghesia non è altro che l’impugnatura della lama dell’armata. Dal 1789 in Francia non c’è rivoluzione borghese senza consenso dell’aristocrazia militare. Per ritornare ai nostri giorni, la demistificazione militare, in quanto pensiero autonomo che si oppone al politico è il ruolo stesso dell’intellettuale. L’intellettuale non è un dissidente, se non tiene conto del pensiero militare. Quando per esempio Althusser dice come è giusto: “È curioso che il Pcf sia organizzato come un partito popolare (...)”. A mio avviso si comincia ad aprire gli occhi su un fenomeno profondo, è in questo senso che Althusser è dissidente, nel momento in cui fa riferimento al pensiero militare, nascosto nel pensiero del partito. Questa è forse la risposta: si comincia a essere dissidenti se si lotta per demistificare il militare nel civile, nel partito, nel sindacalismo, nel terrorismo. Se si prende l’opuscolo delle Br è un opuscolo puramente militare non è certo politico, nel senso radicale del termine politico. Credo che il vero ruolo dell’intellettuale sia di opporsi e di denunciare il militare ovunque esso si nasconda: nel nucleare, nel partito, nel sindacato e nel pensiero rivoluzionario estremista, che non sa esso stesso liberarsi dell’influenza del militare. Si potrebbe sviluppare oltre l’analisi... Oggi la cosa più importante da annotare a livello mondiale è che su 150 nazioni ce ne sono 20 o 30 democratiche; le altre sono occupate da regimi militari di destra o di sinistra. Per la prima volta, da un quarto di secolo, ci sono state delle rivoluzioni fatte dall’armata per il popolo (come in Perù e in Portogallo). In effetti si cominciano a sentire delle persone che dicono: “Ma perché no... perché non delegare la rivoluzione alla lotta armata?”. A partire da questa affermazione ci sono alcuni gruppi terroristi che dicono: “Trasformiamoci in una armata! È la sola soluzione per fare una rivoluzione”. A questo punto io credo che ci sia da fare una demistificazione. Penso che le Br e il loro ruolo, in questo momento, sia quello di rafforzare quella che si potrebbe chiamare la classe militare europea. E, in modo molto diverso, il terrorismo in generale d’Europa. L’avvenire dell’Europa è il continente latino-americano, cioè una società ipercontrollata che si sottosviluppa e che non sviluppa più... Che si sottosviluppa dove il controllo politico-militare, cioè la dottrina della sicurezza dello Stato, diventa la dottrina europea. Il bisogno di salute, di conforto, di consumo, diventano un solo bisogno, quello della sicurezza. Tutto ciò che accelera il processo di sicurezza sociale rinforza il principio di sicurezza nazionale e internazionale. Tutto ciò che succede in America-Latina non fa che esprimere la vecchia dottrina della sicurezza nazionale, cioè: la guerra è permanente contro qualsiasi forma di opposizione. La situazione durerà per lungo tempo, non è solo contingente. Sia nel cuore sociale, sia nelle istituzioni, si assiste a un fenomeno che si può definire come un “laissez-tous”, compatibile a una decolonizzazione che non è soltanto una sola. La società che deriva dalla società borghese è una società che aumenta il fenomeno dell’esistenza e del conforto, attraverso una presa di controllo della vita quotidiana. Ho l’impressione che si stia assistendo a un fenomeno di disattenzione totale. Ci sarà da una parte un polo molto forte; il potere militare puro che ha bisogno della guerra per imporsi, dal momento che è poggiato sul rafforzamento nucleare, è un potere puro perché non ha niente dentro ma ha un’oppressione totale, e si rafforza in modo incredibile, anche perché non ha nessun rapporto col cuore sociale. Il cuore sociale è abbandonato, è molto controllato, ipercontrollato, ma non è più assistito nel senso di uno scambio, nel senso di una ripartizione di cadute tecniche. Lo stato nazionale ha portato a livello di frontiere, e non di frontiere della città. Si assiste quindi alla fine dello stato nazionale: non c’è più consenso, non c’è che un polo di potere puro. Non c’è più scambio fra potere e popolo, esiste ormai una rottura definitiva. L’immagine in tre punti è questa: 1. Società senza stato; 2. Società con stato; 3. Società al di là dello stato nazionale, cioè anarchia pura. A ciò corrisponde: 1. Autoregolazione del popolo per mezzo dell’unità tribale; 2. Regolamentazione per mezzo delle istituzioni; 3. Sregolatezza. In quest’ultimo caso il popolo è come le gazzelle che corrono nelle pianure: quando sembra che si dirigano verso la barriera vengono investite dal defoliante... e tutto finisce. Non si può quindi comporre e creare in una società in decomposizione. Non c’è più la possibilità di un consenso nello stato nazionale perché è solo uno stato di urgenza: il vecchio era stato di assedio, perché assediava ed era assediato. Oggi lo stato non è più uno stato-nazione, ma uno stato-destinazione di movimento puro, di delocalizzazione pura, come il flusso in un motore. Il ruolo dell’intellettuale è, quindi, di attaccare il potere militare, sia quello puro della dissoluzione nucleare, sia quello impuro delle masse che cadono nell’errore dell’inganno. Bisogna attaccare fra i due e mostrare che l’oggetto è militare nell’armata, nell’istanza nazionale e anche nel sindacato, perché non si può più fare la rivoluzione con il pensiero militare considerando che tale via porta alla Cambogia e all’Urss. Ora il vero lavoro è la ricerca del dare un luogo politico. Per fare questo bisogna cercare di identificare la violenza moderna. Per me la violenza pura, la guerra pura è la velocità: velocità nel trasporto delle persone, nella comunicazione dei messaggi o dei valori. La velocità è la legge militare per essenza, e ciò è normale perché il pensiero militare è logistico. Bisogna quindi opporre al violento il lento: se la violenza è la velocità, la non-violenza è la teoria della lentezza. La velocità è la vittoria dei vincitori, la lentezza è la vittoria dei vinti. L’avvenimento del lento è un avvenimento “rivoluzionario”. Basta dire che tutte le cose prodotte dalla rivoluzione capitalistico-borghese sono delle macchine per produrre la velocità; non sono stati ancora inventati mezzi che fabbrichino il lento. Si è così orientati solo dalla logica militare. La guerra, quindi, da muovere allo stato puro è cercare di inventare la lentezza. Dalle origini della storia l’uomo ha sempre cercato di sottomettere il mondo attraverso dei mezzi: l’ubiquità e la velocità erano una sorta di obiettivi ideali della società politica; oggi il movimento si rivolta, noi abbiamo ormai raggiunto questa istantaneità e ubiquità, e quindi improvvisamente la lentezza assume un suo valore, come una cosa che non si ha, se non davanti alla morte. Se si può valorizzare la lentezza e l'inanimazione, è questo che si deve fare. La velocità ci ha sradicato, ed è forse l’invenzione del lento che ci può ricondurre al politico.



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